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The Money and Finance Research (Mo.Fi.R.) group was established in 2007 on the initiative of Pietro Alessandrini, Michele Fratianni and Alberto Zazzaro. The aim of the group is investigating, from both the empirical and theoretical points of view, the evolution of the financial system as the collection of financial institutions, intermediaries and markets and understanding the real consequences of that evolution for the development of the economic system at the regional, national and international levels. This mission is fulfilled through a variety of activities, including sponsored research, seminars, conferences carried out by a bulk of economists from the Department of Economics of the Università Politecnica delle Marche in cooperation with researchers from other universities, post-doc research fellows, PhD students and graduate students.

lunedì 11 aprile 2011

Cultura finanziaria e sviluppo economico

Dalla fine del 2007 anche in Italia, con il recepimento della direttiva europea 2004/39/CE, è entrata in vigore la nuova disciplina dei mercati, servizi e strumenti finanziari, meglio conosciuta come MiFID (Markets in Financial Instruments Directive). Questa disciplina, oltre a rafforzare la tutela del risparmiatore e a creare un mercato finanziario più integrato, efficace e competitivo all’interno dell’Unione Europea, ha portato in primo piano il tema della cultura finanziaria e il suo ruolo nell’allocazione efficiente delle risorse.
La crisi finanziaria innescata dal tracollo dei mutui subprime americani, e per uno strano disegno del caso iniziata proprio nel periodo di avvio dell’applicazione della direttiva europea, può per molti aspetti essere spiegata da una distribuzione “asimmetrica” di cultura finanziaria tra risparmiatori e istituti finanziari, dove i primi – caratterizzati mediamente da livelli di cultura finanziaria inferiori a quelli degli istituti finanziari - hanno creduto di poter accedere a strumenti finanziari particolarmente convenienti senza al contempo essere in grado di valutarne appieno i rischi associati.
Il tema della cultura finanziaria, o meglio dei diversi livelli che caratterizzano i due lati di una transazione finanziaria, ricorre spesso anche nel quotidiano rapporto che intercorre tra banche, imprese e famiglie. Non è infrequente ascoltare esponenti bancari che in occasioni pubbliche lamentano la scarsa cultura finanziaria dei loro clienti. Una situazione secondo loro che spesso si traduce in un difficile rapporto banca-cliente. Da un lato, infatti, le istituzioni di vigilanza spingono verso modelli di valutazione della clientela sempre più raffinati e possibilmente precisi, dall’altro, famiglie e imprese non sempre sono nelle condizioni di fornire, tramite strumenti appropriati, quelle informazioni che renderebbero quelle stesse valutazioni meno aleatorie o condizionate da fattori soggettivi. Ad esempio, e soprattutto nel caso delle imprese minori, la consuetudine di accompagnare le richieste di finanziamento con un piano finanziario è poco diffusa se non del tutto assente. Di conseguenza, le banche hanno maggiori difficoltà nel valutare correttamente la convenienza economica di un progetto e la probabilità che il finanziamento venga rifiutato aumenta. E’ probabile quindi che in economie dove la cultura finanziaria è più bassa, il mercato o le istituzioni finanziarie incontrino maggiori difficoltà di selezione degli investimenti e il livello di reddito sia inferiore a quello di economie con livelli di cultura finanziaria più elevati.
Il tema della cultura finanziaria naturalmente non riguarda solo le imprese, ma anche le famiglie. In particolare le decisioni riguardanti l’accumulazione di ricchezza e la scelta del portafoglio che meglio garantisce l’ottenimento di determinati livelli di reddito, e quindi di consumo, durante l’arco della vita lavorativa, ma soprattutto una volta raggiunta l’età della pensione.
Negli ultimi anni la financial literacy ha occupato uno spazio crescente all’interno della letteratura economica[1], anche se rimangono oggettive le difficoltà di misurazione del fenomeno soprattutto per quanto riguarda i confronti internazionali.[2]
Anche in Italia il tema della cultura finanziaria e della sua misurazione ha iniziato ad attirare interesse sia da parte delle istituzioni (la Banca d’Italia, in primis)[3], che di studiosi.[4] La costruzione di indicatori di cultura finanziaria si basa spesso proprio sulle informazioni che le banche hanno raccolto in seguito alla MiFID allo scopo di classificare la propria clientela.[5]
Una via alternativa a questo tipo di informazioni può essere rappresentata dai risultati degli esami di abilitazione alla professione di consulente finanziario nell’ultimo biennio. Il vantaggio di questa fonte statistica è che l’abilitazione viene ottenuta rispondendo ad un questionario elettronico contenente domande a risposta multipla uguale per tutte le undici sezioni territoriali in cui è diviso il territorio nazionale. Alla chiusura del questionario, il candidato conosce immediatamente il risultato della sua prova che risulta superata solo nel caso di una determinata percentuale di risposte esatte. Questa modalità di esame ha il vantaggio di eliminare l’influenza sui risultati delle commissioni e, quindi, permette un raffronto immediato della “cultura finanziaria” delle diverse aree del paese mediante il calcolo di un semplice indicatore (IPF) calcolato come il rapporto tra abilitati e numero di candidati. Affinché questo indicatore possa essere rappresentativo della financial literacy delle diverse regioni è necessario assumere, con molte cautele, che i candidati alla professione di promotore finanziario siano un campione rappresentativo, almeno per quanto riguarda il livello di cultura finanziaria, della popolazione residente nelle diverse regioni del paese.

Tabella 1: Idonei agli esami di abilitazione per promotore finanziario: 2009-2010 (in % del numero di presenti agli esami)

Area
IPF
Nord-Ovest
30,6
Nord-Est
30,9
Centro a
19,9
Sud
17,9
                                      a) include l’Abruzzo e la Sardegna.

La cultura finanziaria misurata sulla base dell’IPF evidenza l’esistenza di significative differenze tra le diverse aree del paese (cfr. Tabella 1). In particolare, il Nord Italia evidenzia un livello di cultura finanziaria superiore sia al Centro che al Sud dove l’indicatore assume il valore più basso in assoluto. Inoltre, la differenza che caratterizza i valori dell’IPF tra Centro e Sud è molto inferiore a quella dei valori dell’IPF tra le regioni del Nord e quelle del Centro.[6]  In altri termini, è il Nord che si caratterizza come l’area del paese dove la cultura finanziaria è più diffusa e dove, forse non a caso, la ricchezza è più elevata.
Le precedenti considerazioni sono soggette, tuttavia, ad un vizio di circolarità, molto frequente in economia: è il livello di sviluppo economico che dipende da quello della cultura finanziaria, oppure è vero il contrario? Nel primo caso, sul quale un numero crescente di analisti sembra concordare, programmi di formazione che favoriscano livelli di cultura finanziaria più elevati potrebbero nel medio-lungo periodo riflettersi in livelli di sviluppo più elevati. Non riconoscere alla cultura finanziaria questo ruolo di sostegno allo sviluppo economico potrebbe quindi solo determinare un aggravarsi del ritardo di un’economia rispetto ai concorrenti internazionali che, come nel caso di quella italiana, finirà di gravare in misura maggiore su quelle aree del paese già ora relativamente più svantaggiate.

Giorgio Calcagnini, Università di Urbino “Carlo Bo”
 


[1] Un’ottimo sito per informarsi sulla financial literacy è http://www.dartmouth.edu/~alusardi/.
[2] Per un confronto internazionale si veda Cfr. “L’educazione finanziaria in Italia. Riflessioni e proposte per migliorare la cultura finanziaria del Paese”, Ambrosetti S.p.A., 2007, p. 15.
[3] Cfr. http://www.bancaditalia.it/servizi_pubbl/conoscere.
[4] Sul tema si veda L. Guiso e T. Jappelli (2008) “Financial Literacy and Portfolio Diversification”, EUI Working Papers, ECO2008/31.
[5] Cfr. Ambrosetti (2007).
[6] I dati del Centro potrebbero essere influenzati dal fatto che due sezioni territoriali includono l’Abruzzo e la Sardegna, che sono invece tradizionalmente considerate regioni meridionali.

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