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The Money and Finance Research (Mo.Fi.R.) group was established in 2007 on the initiative of Pietro Alessandrini, Michele Fratianni and Alberto Zazzaro. The aim of the group is investigating, from both the empirical and theoretical points of view, the evolution of the financial system as the collection of financial institutions, intermediaries and markets and understanding the real consequences of that evolution for the development of the economic system at the regional, national and international levels. This mission is fulfilled through a variety of activities, including sponsored research, seminars, conferences carried out by a bulk of economists from the Department of Economics of the Università Politecnica delle Marche in cooperation with researchers from other universities, post-doc research fellows, PhD students and graduate students.

mercoledì 27 ottobre 2010

La sottovalutazione della crisi globale

Che la crisi sia più grave di quanto era sembrato nel 2007 ce ne stiamo accorgendo mese dopo mese in questo difficile 2008, che sta per chiudersi in modo depressivo e con aspettative deprimenti.
La sottovalutazione, va detto, allora era stata generale.
La crisi dei mutui sub-prime non è stata colta nella sua gravità epidemica di portata globale non solo a livello territoriale, ma anche a livello settoriale. Si è trasmessa dagli Stati Uniti al resto del mondo. Dal credito alla finanza. Dai mercati finanziari ai mercati reali. Dalla domanda di beni alla produzione, fino a deprimere l’occupazione.
Non ci siamo accorti che la crisi veniva da lontano. Ora ci accorgiamo che andrà lontano nel tempo.

Purtroppo non se ne sono accorti i governi, che traggono vantaggi elettorali dalle fasi di espansione e non hanno incentivi a frenare la deriva dell’euforia finanziaria. E’ facile governare ed ottenere consensi quando l’economia va a gonfie vele. Sarebbe saggio in tempi di vacche grasse fare interventi di razionalizzazione e riforme coraggiose di ristrutturazione. Interventi preventivi per contenere gli eccessi, combattere gli sprechi, colmare i ritardi, ridurre le inefficienze, redistribuire i redditi e liberare le potenzialità di sviluppo del capitale umano e sociale. Raramente si approfitta di questa occasione. Soprattutto in Italia, dove le riforme si sono fatte solo se costretti da situazioni di emergenza.
Ora che la crisi si è manifestata appieno, è più difficile intervenire, anche se è drammaticamente necessario. Le risorse sono scarse. I tempi sono stretti. Il problema non è tanto trovare le soluzioni, quanto attivarle in modo credibile e con effetti che siano nello stesso tempo rapidi e duraturi. Si è diffusa la giusta opinione favorevole a una politica fiscale espansiva. Ma non è chiaro con quali risorse, in quali direzioni, con quali effetti. Governare in periodi di vacche magre è difficile. Lo è soprattutto per governi quale quello italiano che debbono rendere compatibili interventi di rilancio dell’economia e promesse di detassazione con un debito pubblico almeno da contenere nel breve e comunque da ridurre nel medio-lungo termine.
In tutto questo rincorrersi di priorità e vincoli, l’imperativo è fare presto. Ma la giusta preoccupazione è che fare presto non collima con il fare bene. Il rischio temuto è che ancora una volta si facciano interventi una tantum che sono palliativi rispetto alla gravità della situazione.

La crisi globale è stata sottovalutata anche dalle banche centrali. Fed e BCE hanno ufficialmente mostrato di preoccuparsene solo nella prima decade di agosto 2007. Ma il focolaio della crisi sub-prime si era già acceso dal primo trimestre dello stesso anno. Per almeno sei mesi si sono comportate come pompieri che assistono al propagarsi dell’incendio sperando che si spenga da solo. Le misure adottate sono state non solo tardive, ma anche contradditorie. La BCE all’inizio della estate 2008 era ancora impegnata sulla linea di innalzamento dei tassi ufficiali per combattere l’inflazione. Inflazione da costi, per l’aumento stratosferico del prezzo del petrolio, quindi difficilmente curabile con l’aumento del costo del denaro che ha semmai effetti frenanti sulla domanda, ma non sui prezzi dell’offerta.
Solo alcuni mesi dopo la FED e con ritardo anche la BCE hanno diminuito i tassi di interesse ufficiali. Ma già era scattato il fenomeno più temuto nei mercati finanziari: la crisi di fiducia che si è trasmessa lungo la catena di intermediazione. Una catena allungata all’estremo nell’ottica di spalmare i rischi su tanti anelli finanziari che in buona parte si sono rivelati scatole vuote. La catena si è spezzata in più parti, rivelando una fragilità strutturale della quale le autorità di controllo e le banche centrali dovevano accorgersi preventivamente.
Le stesse banche centrali, nelle loro operazioni di rifinanziamento, hanno manifestato sfiducia e quindi l’hanno trasmessa alle banche. La BCE ha abbassato i tassi di riferimento e ha ampliato la disponibilità di euro concessi alle banche in sede di asta. Ma nello stesso tempo ha svalutato i titoli ammessi a garanzia. Questo atteggiamento prudenziale, penalizzante per le banche, contrasta con la sollecitazione rivolta dalle autorità monetarie alle stesse banche ad essere più permissive nel concedere credito nell’interbancario e più fiduciose a favore delle imprese.

Anche le banche si sono comportate in modo contradditorio. Da un lato hanno bloccato i prestiti sull’interbancario per mancanza di fiducia sulla controparte bancaria. Dall’altro hanno chiesto fiducia ai depositanti, tentati di ritirare i loro depositi, come molti hanno fatto. Per garantirsi una disponibilità di liquidità per far fronte ad eventuali corse agli sportelli da parte dei risparmiatori, le banche hanno sterilizzato presso la BCE le loro disponibilità liquide. Più precisamente, hanno ridepositato presso la banca centrale gli euro acquistati dalla stessa alle aste settimanali. Di fatto, le banche hanno espresso una domanda precauzionale di liquidità, che hanno nascosto sotto il “materasso” della BCE in attesa di eventi meno rischiosi. Operazione che la BCE ha addirittura incoraggiato riducendone il costo da un punto percentuale a mezzo punto (con riferimento alla differenza tra il tasso del rifinanziamento principale sceso dal 3,75 al 3,25 e il tasso sul deposito overnight rimasto a 2,75). Il risultato finale è stato quello di vanificare gli sforzi della politica monetaria espansiva. La liquidità è stata creata, ma è ritornata alle casse della BCE!

Una crisi partita dal credito facile si è alla fine ribaltata in una crisi di credito difficile. Le conseguenze le stanno pagando le imprese, soprattutto le piccole, che maggiormente dipendono dal credito bancario, e gli occupati che sono in preoccupante calo.
Una somma di cause, errori, effetti e reazioni ha provocato questa crisi molto grave, per estensione nello spazio e nel tempo. Non resta che fare di necessità virtù e sperare che governi e banche centrali imparino da questa esperienza di sottovalutazione e si dotino di strumenti adeguati per  prevenire e contenere le future crisi. Non certo per evitarle, perché con i mercati globalizzati non è possibile. Se ne convincano dinanzi all’evidenza gli economisti iperliberisti. E ammettano anch’essi di avere sottovalutato la crisi. O di avere sopravalutato la capacità dei mercati finanziari di autoregolamentarsi. Ora riscoprono l’intervento dello stato, che però non si può improvvisare, e alle prime schiarite torneranno a predicare la sovranità assoluta del mercato.
La coerenza è certo una virtù difficile, ma è anche necessaria. Almeno questo.


Pietro Alessandrini

21 Novembre 2008

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