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The Money and Finance Research (Mo.Fi.R.) group was established in 2007 on the initiative of Pietro Alessandrini, Michele Fratianni and Alberto Zazzaro. The aim of the group is investigating, from both the empirical and theoretical points of view, the evolution of the financial system as the collection of financial institutions, intermediaries and markets and understanding the real consequences of that evolution for the development of the economic system at the regional, national and international levels. This mission is fulfilled through a variety of activities, including sponsored research, seminars, conferences carried out by a bulk of economists from the Department of Economics of the Università Politecnica delle Marche in cooperation with researchers from other universities, post-doc research fellows, PhD students and graduate students.

venerdì 29 ottobre 2010

Un super-garante per il credito


Sappiamo per lo meno due cose sulle crisi finanziarie. La prima è che esse occorrono con una tale frequenza da doverle considerare parte integrante del capitalismo. Dall’inizio del Seicento ad oggi ne abbiamo avute, in media, una ogni otto anni; dalla fine di Bretton Woods una ogni due anni. Di conseguenza, bisogna avere strumenti adeguati per fronteggiarle.  La seconda è che, indipendentemente da come nasce, la crisi sfocia in un collasso del credito. Questo, a sua volta, riflette due importanti fenomeni:  lo stato di incertezza sulla solidità degli operatori e la corsa alla liquidità degli intermediari finanziari che intendono ridurre il rapporto fra attivi e capitale netto. La crisi, come la guerra, crea una fitta nebbia che appanna la vista delle controparti e li rende incerti sulle loro posizioni relative. Aumentano le asimmetrie informative non solo tra banche, imprese, risparmiatori, autorità, ma anche tra le stesse banche. Questo segna la gravità della crisi attuale.
Le grandi banche centrali del mondo, dall’agosto dello scorso anno, si sono prodigate nel tentativo di soddisfare la eccezionale domanda di liquidità. Hanno creato base monetaria (poi in  parte sterilizzata) sia con operazioni di mercato aperto sia con prestiti, con garanzie,  alle singole istituzioni. La Fed ha ridotto il divario fra il tasso di sconto e il tasso di interesse  obiettivo, ha aperto l’accesso al discount window a intermediari non bancari, allungato le scadenze dei prestiti e liberalizzato i criteri sui titoli ammessi a garanzia. Un risuscitato Walter Bagehot non potrebbe fare a meno che compiacersi per il modo in cui le banche centrali hanno assolto il ruolo di prestatore di ultima istanza. I governi, anche se in ritardo, hanno allestito programmi per la ricapitalizzazione di banche e offerto garanzie, palesi o implicite, su una vasta gamma di debiti emessi da banche e fondi comuni monetari.
Nonostante questo grande dispiego di mezzi, il credito alla clientela rimane bloccato e sta trascinando l’economia reale in una spirale depressiva. Le tubature del mercato interbancario, dove le controparti acquistano e vendono ingenti quantità di depositi senza la garanzia di un collaterale, sono intasate sulle scadenze che vanno di là delle 24 ore. L’evoluzione del TED, ovvero lo spread fra il tasso di interesse LIBOR in dollari a tre mesi ed il rendimento del BOT americano, dà un’idea della gravità del problema. In condizioni “normali”, TED si situa la di sotto di 20 punti base (pb). Nelle crisi finanziarie del Messico (1994) e del Sud-Est asiatico (1997), TED sale a circa 70 pb; durante la guerra del Golfo (inizio anni Novanta) e il salvataggio di Long Term Capital Management (1998) arriva a 120 pb. La crisi subprime subito innalza il TED oltre ogni limite precedente, per settimane intere. La crescita di TED  riprende furiosamente a settembre di quest’anno. Il 18 settembre, tre giorni dopo il fallimento di Lehman Brothers, TED raggiunge 316 pb. Il 10 ottobre, dopo  una settimana terribile  delle borse mondiali, la febbre del TED fa registrare il massimo di 464 pb. Mentre la Fed immette liquidità nel mercato monetario a 150 pb, le banche se la prestano a tre mesi –quando se la prestano—con un premio di quasi 350 pb.  La politica monetaria viene vanificata da un mercato interbancario in tilt, avvolto da una nebbia densa di sfiducia.
Situazioni eccezionali richiedono misure eccezionali. Anche se in ritardo, vale la pena considerare la creazione di un meccanismo parallelo, purchè temporaneo, al mercato interbancario.  La banca centrale dovrebbe offrire fondi a tre mesi, senza garanzia, ad un tasso  superiore al tasso di rifinanziamento marginale (negli USA il discount rate); la differenza compenserebbe l’assenza di garanzia sul nuovo meccanismo. Se si consente, come avviene con la BCE, alle banche di depositare overnight gli eccessi di liquidità, la banca centrale assumerebbe un ruolo di trasformatore di scadenze nell’interbancario “istituzionale” parallelo. A differenza del rapporto fra banca e banca, quello con la banca centrale ridurrebbe due effetti perniciosi che attanagliano il mercato interbancario. Il primo riguarda il rischio diffidenza che adesso frena la banca prestatrice di fondi. Nel rapporto bilaterale, tale rischio graverebbe solamente sulla banca centrale che, però, gode di vantaggi informativi rispetto alla banca tradizionale. Una volta alleviato il problema rischio controparte, il nuovo tasso a tre mesi delimiterebbe i corrispondenti tassi di mercato. Il secondo effetto concerne il problema del coordinamento: una prima banca che sia disposta a prestare ad una seconda banca fondi a tre mesi non lo fa se teme che altre banche non prestino anch’esse a tre mesi. Nel rapporto bilaterale con la banca centrale, il problema del coordinamento non sussiste.
Il nuovo meccanismo contribuirebbe a riattivare il mercato dei “flussi interbancari all’ingrosso” su scadenze intermedie a tassi di interesse orientati dai tassi di policy. Il LIBOR a tre mesi è un tasso di riferimento per una miriadi di contratti di credito, inclusi i prestiti ipotecari. Una volta stabilizzati i mercati interbancari, le banche sarebbero incentivate a ridurre la domanda di moneta ed allentare i cordoni del credito, mentre le banche centrali potrebbero concentrarsi su una politica monetaria espansiva che riduca i rischi di una depressione mondiale.

Pietro Alessandrini e Michele Fratianni
Apparso su Il Sole-24 Ore, 30 ottobre 2008.

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