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The Money and Finance Research (Mo.Fi.R.) group was established in 2007 on the initiative of Pietro Alessandrini, Michele Fratianni and Alberto Zazzaro. The aim of the group is investigating, from both the empirical and theoretical points of view, the evolution of the financial system as the collection of financial institutions, intermediaries and markets and understanding the real consequences of that evolution for the development of the economic system at the regional, national and international levels. This mission is fulfilled through a variety of activities, including sponsored research, seminars, conferences carried out by a bulk of economists from the Department of Economics of the Università Politecnica delle Marche in cooperation with researchers from other universities, post-doc research fellows, PhD students and graduate students.

mercoledì 27 ottobre 2010

L'insostenibile leggerezza delle lodi

1.      Ad ogni seduta di laurea emerge il problema delle valutazioni delle tesi. Problema che viene vissuto con atteggiamenti contrastanti dai membri delle commissioni. Si va dai benevolenti, per i quali un voto in più non lo si nega a nessuno (“sono tutti bravi ragazzi” “si sono impegnati”), agli accondiscendenti, che da contro-relatori si adeguano al giudizio dei relatori (un po’ come gli avvocati di ufficio che si rimettono alla benevolenza della corte), fino all’estremo opposto dei rigorosi, che sono severi con i propri laureandi, ma si trovano perennemente spiazzati dal gioco al rialzo fatto dall’abbinamento benevolenti-accondiscendenti.
2.      Se poi si va in profondità emergono interessanti sotto-categorie.
a.            I benevolenti possono essere distinti in indifferenti e appassionati. I primi non si pongono il problema di una rigorosa valutazione e spesso hanno solo fretta o privilegiano il quieto vivere. I secondi si identificano pienamente con il proprio laureando (alimentando un involontario conflitto di interessi: il laureando è un collaboratore da difendere più che uno studente da valutare oggettivametne).
b.            Gli accondiscendenti raggruppano gli indifferenti (sono gli stessi di cui sopra, quando svolgono il ruolo di controrelatore) e i subordinati. La subordinazione è evidente quando il controrelatore è in posizione subalterna rispetto al “potente” relatore: come si può chiedere a un assegnista o a un contrattista o, anche a un ricercatore, di contrastare il giudizio del relatore, dal quale dipende per la propria carriera? La parte buona di questo aspetto risiede in una oggettiva identità di vedute, per cui il “subordinato” acquisisce gli stessi metri di valutazione del proprio “maestro”. Se è così, meglio ancora quando entrambi fanno parte della categoria dei rigorosi.
c.             Ma la schiera dei rigorosi tende a ridursi progressivamente. Pertanto anche in questo caso possiamo distinguere due sottocategorie: i pentiti e gli irriducibili.  La giustificazione più comune dei pentiti è quella di doversi adeguare al rialzo per non penalizzare i propri studenti. Gli irriducibili vengono sconfitti ad ogni seduta di laurea: possono essere paragonati in politica ai massimalisti, forti dei loro principi, ma indeboliti da una progressiva perdita di consenso elettorale, che va a chi promette ed elargisce (con danni irreversibili nel medio-lungo periodo).
3.      Non ho difficoltà a identificarmi con il ristretto gruppo dei rigorosi irriducibili, con alcune precisazioni, che sintetizzo in: rispetto, responsabilità, fiducia.
a.            Il rispetto lo esprimo nei confronti di tutti i colleghi. Mi sono “divertito” a identificare le suddette categorie, ma senza intenti moralistici. Posso capire molte (non tutte però) delle posizioni sopra esemplificate. Spesso sono il frutto della mancanza/difficoltà a trovare standard di valutazione espliciti e condivisi. Sia perché riconosco il buon senso e la buona fede nella maggior parte dei comportamenti individuali, che però nell’aggregato portano a risultati complessivi che vanno rivisti e corretti.
b.            Il mio  rigore “irriducibile” va letto non come sterile massimalismo, ma come richiamo al senso comune di responsabilità. Il senso di responsabilità ci impone di adeguarci a chi fa meglio. Una seria valutazione del merito deve essere l’obiettivo principale della attività universitaria. Riguarda sia le nostre carriere sia le carriere degli studenti. Tutti i portatori di interessi (famiglie, imprese, istituzioni) ci chiedono la fine della autoreferenzialità, che ha minato la credibilità della università italiana, mantenuta in piedi soprattutto dall’anacronistico valore legale del titolo di studio.
c.             Non rinunzio ad esprimere fiducia nella nostra possibilità di miglioramento. Anche perché non abbiamo scelta. Non è più tempo di quieto vivere. E’ tempo di esprimere capacità competitiva nella ricerca e nella didattica. A livello centrale (Ministero, CUN, CNVSU, CIVR, ecc..) ci vengono imposti vincoli e ripetuti aggiustamenti. Sta a noi la scelta tra il semplice adeguamento formale dei crediti (da 5 a 6, da 10 a 9) e delle materie di insegnamento (ricollocate in indirizzi per salvare tutto e tutti) e una seria revisione sostanziale di cosa insegnamo, come, con chi e per chi. Credo che dobbiamo seguire la seconda via e ho fiducia che possiamo farcela.
4.      Perché occuparsi delle tesi di laurea? C’è ben altro da fare: rivedere i contenuti degli insegnamenti, l’organizzazione didattica, lo statuto dell’università, i regolamenti, l’arruolamento e la selezione virtuosa dei docenti, la ricerca, ecc….
      Per due motivi.
a.            Il benaltrismo è un male da sconfiggere, come forma deteriore di massimalismo. Vivere di benaltrismo è come sperdersi dentro a un labirinto: si gira a vuoto. Sconfiggerlo significa trovare un filo di Arianna per trovare una via di uscita.
b.            Mettere mano alle tesi è uno dei fili di Arianna. Si può facilmente cominciare da lì e proseguire a risolvere altri problemi per prossimità. D’altro canto l’importanza delle tesi non va sottovalutata, nei suoi aspetti formativi e di valutazione. Oltretutto non si esclude la possibilità di aggredire altri problemi concomitanti.
5.      La tesi di laurea specialistica ha un duplice valore. Un innegabile valore formativo per il laureando. Al quale va aggiunto un valore di effetto annuncio esterno, che sintetizza la qualità della formazione sottostante e la corrispondente validità della votazione. E’ il biglietto da visita esterno non solo per i laureati, ma anche per la nostra facoltà. C’è quindi un problema di immagine non solo formale (alimentato dal valore legale del titolo di studio), ma anche sostanziale, che coinvolge la credibilità della nostra facoltà. Abbiamo scelto un preside riconosciuto esperto di marketing aziendale e territoriale: ho fiducia che capisca bene questo problema di marketing formativo legato alla qualità espressa e trasmessa anche (non solo) attraverso i nostri laureati. Le loro competenze devono coincidere con il voto di laurea.
6.      Se questi sono i presupposti, quali sono i problemi più evidenti e le correzioni da apportare? Ne indico alcuni:
a.            L’analisi e miglioramento deve partire dai dati. Le richieste di lode e di sfondamento sono eccessive e mal distribuite tra dipartimenti e, al loro interno, tra insegnamenti. L’ultimo dato riporta la seguente distribuzione: 57% Dipartimento aziendale, 27% Dipartimeno sociale, 16% Dipartimento economico (cito i dati a mente, l’ordine di grandezza è grosso modo rispettato). Questo lascerebbe pensare che i migliori studenti si indirizzino agli studi aziendali. E’ probabile, ma non è credibile. O comunque va verificato.
b.            Le richieste di particolare menzione (lode e/o sfondamento) hanno un effetto annuncio interno che non viene quasi mai smentito. E’ molto raro che non vengano accordate. Occorre una verifica in tal senso. A occhio penso che il 99% trovino conferma nel voto finale, con evidenti perplessità in termini di autoreferenzialità del relatore (secondo le categorie stilizzate all’inizio). Ci sono docenti che hanno la lode molto facile, che spesso sfiora il 100% delle tesi presentate. Tutte successivamente confermate.
c.             Per tesi dichiarate in sede di valutazione come “medie” (sorrette dalla “buona volontà” mostrata dal laureando) si chiedono spesso 4-5 punti. La gamma che va da 0 a 3 punti viene lasciata ai rigorosi irriducibili, che sono la minoranza, come detto sopra. Con evidente scorno per i loro laureandi che vedono premiati i loro amici che hanno fatto meno sforzo (spesso solo descrittivo), hanno impiegato meno tempo e ottenuto più punti. C’è un evidente problema di equità. I rigorosi pentiti lo risolvono adeguandosi al rialzo.
d.            Ci sono due circoli viziosi che vanno quanto meno ridimensionati.
Il primo riguarda gli abbinamenti incrociati che vede gli stessi relatori/controrelatori scambiarsi i ruoli su numerose tesi, a volte sei o sette nella stessa seduta di laurea. C’è un evidente rischio di voto di scambio (tu non rompi le scatole a me, io non le rompo a te), aggravato nel caso degli accondiscendenti subordinati. Serve una maggiore attenzione in sede di formazione delle commissioni di laurea.
Il secondo è la comune giustificazione della richiesta di lode: “ha una media dei voti così alta: come si fa”. Questo taglia in partenza la discussione sulla valutazione della tesi. Ricordo in proposito due considerazioni. La prima riguarda il fatto che partire dalla media dei voti degli esami è solo una prassi, ormai comune, ma che non deve prescindere dal valore effettivo della tesi. Per assurdo, chi arriva con una media di 108-109 potrebbe permettersi di limitarsi a trascrivere l’elenco telefonico. La seconda è che la tesi viene presentata per concorsi esterni (borse di studio, concorsi, ecc..) ed è quello il valore che fa testo. Una tesi mediocre abbinata a un 110 e lode va a svantaggio della immagine esterna della facoltà. 
7.      Il tutto risulta più chiaro se si stabilisce un chiaro codice di riferimento per le valutazioni.
a.            Innanzi tutto va ricordato che il punteggio dato alla tesi è incrementale rispetto alla media dei voti di esame. Questo significa che, ad esempio, dare 0 punti di incremento alla tesi di chi ha la media del 27 (pari a 99 su 110) significa dare un voto alla sua tesi pari alla media: cioè 27!! Nel caso di chi ha la media del 29 (pari a 106). 0 punti significa dare un valore di 29 alla tesi!!  Ma i colleghi retrocedono “inorriditi” dalla idea di valutare una tesi 0 punti, ossia pari a 27, nel primo caso, e a 29, nel secondo. Una tesi giudicata “media” viene premiata con 4 punti nella maggior parte dei casi e con 3 in pochi altri casi (gli irriducibili).
b.            Ad essere seri il valore della tesi deve essere corrispondente al valore medio complessivo della carriera universitaria. Ciò in teoria significa che uno studente molto bravo deve esprimere una tesi corrispondente alle sue performace negli esami.
c.             A parte queste disquisizioni, che però vanno ricordate a costo di sfiorare il massimalismo, il codice di valutazione che considero realisticamente praticabile deve basarsi sui seguenti punti incrementali:
 0 = tesi sufficiente, molto poco impegnativa, 1 = tesi più che sufficiente, 2 = tesi discreta, 3 = tesi buona, 4 = molto buona, 5 = ottima. Lo sfondamento oltre i 5 punti e, sempre, la lode vanno riservati a tesi eccellenti. Immagino che di tesi eccellenti ciascun relatore non ne abbia più del 5-10% delle tesi che segue.
Le valutazioni debbono tenere conto di: 1) difficoltà dell’argomento, 2) ampiezza dei riferimenti richiesti (bibliografia) e degli strumenti utilizzati (testi in lingua straniera, metodi quantitativi, ecc..), 3) capacità di approfondimento, 4) chiarezza espositiva, 5) eventuale originalità dei risultati.
8.      Nella storia della nostra facoltà, che compie 50 anni, il problema delle tesi è riapparso a più riprese. Segno della sua permanente importanza. Sono stati posti correttivi ogni volta che sono apparsi evidenti la perdita di rispetto dei codici di valutazione o la necessità di adattarli ai tempi. Sempre abbiamo posto un limite a punti di incremento. Oggi questo limite, che c’è, viene superato nella maggior parte dei casi. Una volta distinguevamo le tesi B, più snelle e meno impegnative per gli studenti che avevano fretta di laurearsi, dalle tesi A, più ponderose e impegnative. Alle prime si attribuiva un incremento 0 rispetto alla media. Le seconde avevano un incremento entro i 6 punti. Oggi non c’è più distinzione, con il risultato di dare 3-4 punti di incremento a tesi che sono equivalenti alle tesi B e da 5 fino a 7 e facili lodi alle altre tesi.
Per limitare le richieste di lode abbiamo a lungo istituito un secondo controrelatore, che spesso disattendeva il proprio compito aggiuntivo. Rimane la regola delle comunicazioni preventive. Queste più che un effetto autolimitante dinanzi a un presunto controllo collettivo, provoca un effetto imitazione incentivante: vedasi le richieste di integrazione successive alla prima lista. Una regola che va presa in considerazione potrebbe essere quella di limitare il numero di richieste di lode-sfondamento. Ad esempio a non più del 20% delle tesi seguite in un anno. Dobbiamo muoverci su questi limiti? Preferirei il buon senso, su criteri espliciti, noti a tutti, e condivisi.
9.      L’insostenibile leggerezza con la quale si concedono le lodi, in una laurea specialistica che dovrebbe presentare livelli di dificoltà superiori e livelli di accertamento più rigorosi, credo non sia più sostenibile. Incominciamo a lavorare su valutazioni serie, credibili, motivate e trasparenti. Su questa buona pratica potremo per prossimità inserire anche le valutazioni degli esami. Non ultimo, al più presto saremo chiamati a valutare noi stessi. Come è giusto.
Pietro Alessandrini
14 novembre 2009

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