Informazioni personali

The Money and Finance Research (Mo.Fi.R.) group was established in 2007 on the initiative of Pietro Alessandrini, Michele Fratianni and Alberto Zazzaro. The aim of the group is investigating, from both the empirical and theoretical points of view, the evolution of the financial system as the collection of financial institutions, intermediaries and markets and understanding the real consequences of that evolution for the development of the economic system at the regional, national and international levels. This mission is fulfilled through a variety of activities, including sponsored research, seminars, conferences carried out by a bulk of economists from the Department of Economics of the Università Politecnica delle Marche in cooperation with researchers from other universities, post-doc research fellows, PhD students and graduate students.

martedì 1 novembre 2011

Tavola rotonda su: "Conviene salvare la Grecia?", l'intervento di Pietro Alessandrini


Inizio con tre sì:
  1. Conviene all’Europa salvare la Grecia?: sì
  2. Ci sono strumenti per salvarla?: sì
  3. Si è accumulato troppo ritardo nel decidere e nell’intervenire?: sì.
La chiave di lettura che utilizzo è il senso di responsabilità che deve prevalere in tutti i leader europei. Debbono esere consapevoli che il salvataggio finanziario della Grecia coincide con il salvataggio dell’Eurosistema.
Prima della terapia conviene fare una corretta diagnosi, che riguarda appunto la attribuzione delle responsabilità. Le responsabilità della situazione di crisi attuale sono molto diffuse, possiamo raggrupparle in responsabilità nazionali e responsabilità collettive.

Le responsabilità nazionali riguardano i singoli stati membri che hanno accumulato forti disavanzi di bilancio pubblico, per motivi diversi:
  1. la Grecia per eccessi di spesa corrente coperti con trucchi contabili adottati dal precedente governo e smascherati dal governo attuale
  2. l’Irlanda per un modello di sviluppo basato sulla finanza e drogato da bolla speculativa finanziaria
  3. la Spagna per un modello di sviluppo trainato da bolla speculativa immobiliare
  4. l’Italia e, in parte, il Portogallo in seguito a prolungata stagnazione dei livelli di sviluppo, che per il nostro paese perdura dalla seconda metà degli anni Novanta ed è stata aggravata dalla depressione conseguente alla crisi finanziaria.
Ne consegue che la prima terapia da adottare si colloca a livello degli aggiustamenti interni che ciascun governo di questi paesi debbono adottare. Il rischio da evitare è la deriva dell’azzardo morale, che spinge i governanti a non ricorrere a impopolari politiche di rigore, nella speranza di essere comunque salvati con l’aiuto finanziario esterno sulla base del principio del “too big to fail”. Il migliore antidoto contro questo ricatto dei paesi che puntano a rinviare gli aggiustamenti interni è il regime di amministrazione controllata esterna al quale vengono sottoposti dalla Commissione europea, su mandato del Consiglio europeo e dell’Ecofin, e dalla BCE. Il rigore imposto dall’esterno, condizionato all’erogazione di prestiti, comporta una perdita di sovranità e di prestigio per i governi nazionali. Vedasi in proposito la lettera della BCE inviata al governo italiano. Va anche detto che un governo debole può trovare nei condizionamenti esterni l’alibi per imporre provvedimenti che altrimenti non avrebbe avuto la forza politica di imporre. I governi italiani hanno fatto uso ricorrente al demiurgo esterno per adottare provvedimenti di rigore. Su questa filosofia negli anni Novanta si è impostata l’azione di adeguamento ai parametri di Maastricht per ottenere l’ammissione all’euro. Lo stesso vale in questo periodo di crisi in cui il governo italiano segue la strategia di farsi imporre le manovre restrittive dall’Europa. Allora lo slogan ricorrente era “dobbiamo entrare nell’Euro”, oggi è “i vincoli restrittivi ci vengono imposti per restare nell’euro”.
Le responsabilità collettive vengono chiamate in causa dalla crisi finanziaria globale, che ha messo in moto un complesso processo di interdipendenza delle cause e degli effetti, che richiedono interventi convergenti di più paesi. Si è attivato un circolo vizioso che ha fatto rimbalzare i rischi tra i governi, che sono intervenuti a sostegno delle banche, e le banche, che hanno acquistato i titoli pubblici in presenza di debiti sovrani crescenti. In questo circuito si è inserita la Banca Centrale Europea con interventi non convenzionali di acquisto di titoli pubblici greci e italiani, per contenere gli spread rispetto ai titoli tedeschi.
Il problema da risolvere è come uscire da questo circolo vizioso destabilizzante e con quali strumenti.
1.    Non si può contare sulla partecipazione protratta nel tempo della BCE come prestatore di ultima istanza. Gli interventi non convenzionali della BCE sono utili, ma non risolutivi. Sono misure tampone che alla lunga presentano forti controindicazioni che possono incrinare la credibilità della BCE, per una assunzione eccessiva di rischi finanziari e per il mancato obiettivo del controllo della inflazione a causa degli effetti inflattivi che un eccesso prolungato di liquidità produrrebbe.
2.   La dichiarazione di insolvenza della Grecia è una soluzione con forti controindicazioni che non possono essere sottovalutate. Va messa in conto la stessa possibilità di sopravvivenza dell’Eurosistema. Questo perché la speculazione internazionale verrebbe stimolata a moltiplicare gli attacchi contro gli altri paesi deboli, come sta già avvenendo nei confronti del debito pubblico dell’Italia, che rappresenta poco meno di un quarto del totale debito pubblico europeo. L’uscita di paesi membri dall’euro comporta forti oscillazioni nei tassi di cambio. Il ripristino delle monete nazionali si accompagnerebbe alla svalutazione a due cifre rispetto all’euro con conseguente alta inflazione, alimentata anche dagli elevati menu cost tipici del cambio di moneta (nuovi listini prezzi, adattamento delle macchine automatiche di distribuzione, ecc…).
3.      Se si prende atto che vi sono elevate barriere all’uscita di uno o più paesi membri da un sistema a moneta unica, per le sudette controindicazioni, la riflessione va portata sulla necessità di mantenere elevate barriere all’entrata. La recente esperienza insegna che la selezione all’ingresso di paesi membri nell’euro doveva essere più rigorosa. La Grecia è stata ammessa come dodicesimo membro soltanto un anno dopo l’avvio dell’euro, ma poteva ancora aspettare per portare a termine il processo di adeguamento ai parametri di Maastricht. L’Italia venne ammessa nel primo gruppo di avvio, ma con un rapporto debito/PIL del 120%, in forte deroga rispetto al parametro del 60% stabilito nel Trattato di Maastricht. L’idea accettata dai partners europei era che fosse sufficiente un graduale declino del rapporto, grazie al concorso di tre fattori: il rigore fiscale del governo italiano mirato a mantenere un saldo primario positivo nei conti pubblici, il benefico effetto della riduzione del livello del tasso di interesse sulla spesa corrente, il mantenimento di un adeguato livello di sviluppo. I primi due fattori avrebbero contribuito a ridurre il numeratore del rapporto, il terzo avrebbe agito positivamente sul denominatore. Dopo alcuni anni di virtuoso declino del rapporto debito/PIL, la crisi iniziata nel 2007 ha determinato l’inversione di tendenza, sia per l’aumento del debito sia per la riduzione del tasso di sviluppo, che comunque si era mantenuto a livelli insoddisfacenti per tutto il decennio. Risultato: siamo tornati al punto di partenza con un debito/PIL al 120%, ma in una situazione di progressiva sfiducia dei mercati sulla sostenibilità del debito.
4.    La soluzione dell’incremento di patrimonializzazione delle banche  più esposte alla crisi greca e italiana non è facilmente praticabile. Gli aumenti di capitale non possono essere sottoscritti dai governi, per non alimentare ulteriormente il circuito vizioso del passaggio dei rischi banche-governi-banche-governi sopra descritto. D’altro canto la soluzione del ricorso al mercato appare problematica in presenza di scarsa redditività delle banche e di una perdurante crisi di fiducia dei mercati nei confronti delle azioni bancarie, che sono fortemente sottovalutate.
Le soluzioni che a mio parere sono più praticabili e, nello stesso tempo, più promettenti per consolidare la stabilizzazione dell’Eurosistema vanno nella direzione di un convinto rafforzamento del processo di integrazione europea, con il progressivo avvio di un governo federale sovranazionale che agisce con sufficiente autonomia e flessibilità nell’interesse collettivo.
I passi da compiere a tale scopo sono i seguenti:
1.      Attuare l’aumento sostanziale del fondo di stabilità europeo, che viene erroneamente chiamato fondo salva-stati dando l’immagine di un prestatore di ultima istanza che alimenta l’azzardo morale dei governi indisciplinati. La dotazione del fondo va almeno quadruplicata, fino al livello di 2000 miliardi di euro. L’aumento non deve essere a carico degli stati membri, per non aggravare ulteriormente i loro debiti pubblici. La soluzione più promettente è il ricorso al mercato mediante emissione di Eurobonds. Questi titoli vanno ad incidere non sul debito di singoli stati ma sul livello medio del debito pubblico europeo. Quindi i mercati hanno la prospettiva congiunta non solo dei debiti dei paesi meno virtuosi ma anche di quelli più virtuosi. Soprattutto si apre la strada all’acquisizione di risorse a livello sovranazionale a fini di stabilizzazione collettiva. Il fondo di stabilità potrebbe intervenire a sostegno di singoli stati membri in difficoltà meglio di quanto possa fare la BCE con la politica monetaria che deve essere unitaria e indipendente. L’avvio di un governo fiscale europeo con capacità di finanziamento autonomo offrirebbe la migliore garanzia agli Eurobonds. Nell’attesa che ciò si realizzi la soluzione di offrire garanzie facendo leva sulle riserve auree delle banche centrali dell’Eurosistema, proposta da Prodi e Quadrio Curzio, sembra promettente e prontamente realizzabile.
2.      Una altra soluzione necessaria e attuabile è la revisione degli obiettivi di Maastricht, per adattarli alla situazione attuale. In particolare dovrebbe essere rivisto l’obiettivo che pone il rapporto debito/PIL al livello del 60%. Questo obiettivo venne stabilito agli inizi degli anni Novanta, come media dei rapporti dei singoli paesi europei e in un quadro internazionale che offriva migliori prospettive di crescita e di stabilità rispetto alle attuali. Per effetto della crisi internazionale nella situazione attuale il valore medio è salito a circa l’85%. La stessa Germania ha un debito sul PIL che supera l’80%. Pertanto sarebbe saggio adattare l’obiettivo medio europeo al livello attuale, maggiore rispetto a quello stabilito a Maastricht. Si otterrebbero due risultati. Si allenterebbe la pressione speculativa sui paesi fuori linea e la sfiducia sulla loro possibilità di rientro. In secondo luogo, si avrebbe una pressione meno restrittiva a vantaggio della ripresa dei tassi di sviluppo nell’Eurosistema.
3.   Fare sviluppo deve diventare l’obiettivo europeo prioritario, per superare o almeno attenuare il prevalente orientamento restrittivo dettato dalla necessità di rigore fiscale. In breve occorre agire con determinazione sul denominatore del rapporto debito/PIL. In questa ottica assume rilievo la responsabilità dei paesi in surplus negli scambi interni all’Eurosistema, in primis la Germania. Buona parte della competitività di questo paese è legata all’avere beneficiato di un cambio interno in euro (quindi con rapporto 1 a 1) fortemente sottovalutato rispetto al livello del tasso di cambio che il marco avrebbe raggiunto in presenza delle monete nazionali e che raggiungerebbe se alcuni paesi, tra questi Grecia e Italia, uscissero dall’euro. A fronte di questo vantaggio, la Germania dovrebbe assumersi la responsabilità di svolgere il ruolo di locomotiva, aumentando la domanda interna e, di conseguenza, aumentando le importazioni dagli altri paesi europei. Questa politica espansiva è resa possibile sia dal maggiore potenziale di sviluppo che il surplus esterno consente alla Germania sia da una situazione attuale che non è inflazionistica. Si tratta di una soluzione già auspicata da Keynes come exit strategy dalla grande depressione degli anni trenta. In presenza di crisi depressiva non inflazionistica spetta ai paesi in surplus l’onere dell’aggiustamento espansivo internazionale. Questa regola andrebbe promossa e applicata all’interno dell’Eurosistema.
4.      La soluzione principale, che però richiede tempi di attuazione ancora lunghi, è il rilancio del processo di integrazione europea, del quale la realizzazione della unificazione monetaria ha rappresentato solo un primo passo: un primo passo importante, compiuto contro le regole che nella teoria e nella storia prevedono la istituzione della moneta unica dopo aver realizzato l’unificazione politica. La deroga si rese necessaria nel contesto storico degli anni Novanta, come mossa strategica per rafforzare l’unione europea in presenza di rischi di scollamento dovuti al crollo del muro di Berlino e alla riunificazione delle due Germanie. L’obiettivo della unione monetaria è stato utilizzato come catalizzatore di una futura unificazione politica suggellata da un governo europeo sovranazionale. La crisi ha messo in evidenza la necessità di procedere in questa direzione con decisione. Soprattutto in presenza di realtà territoriali molto differenziate alle quali la politica monetaria unica non può dare risposte in termini di riequilibrio. Occorrono risorse fiscali indirizzate verso i territori in difficoltà di sviluppo, come del resto avvenne nella unificazione monetaria tedesca che comportò una migrazione di popolazione dalla meno sviluppata Germania dell’Est verso la Germania dell’Ovest e in senso opposto flussi finanziari pubblici per attenuare i divaridi sviluppo e con essi i flussi migartori interni.
In conclusione, le crisi mettono in evidenza le fragilità istituzionali e, come sta avvenendo, la crisi attuale mette a dura prova la fragilità istituzionale della Unione Europea. Se ne esce in due modi:
1.     lasciando crollare le istituzioni europee, con la spinta sostanziale che verrebbe dall’uscita della Grecia e dal progressivo sgretolamento dell’Eurosistema. In tal modo si annullerebbe il cammino pluridecennale che ha portato pace e stabilità nello spazio europeo, anche se in presenza di ritardi, scollamenti e difficoltà nel procedere alla rinunzia a dosi crescenti di sovranità nazionale
2.     oppure impegnandosi a rafforzare le istituzioni con la progressiva affermazione di un governo federale europeo in grado di manovrare risorse fiscali proprie, nell’interesse collettivo di un’area che, nonostante sia ad alto livello medio di sviluppo, sarebbe destinata a inevitabile declino se si presenta divisa in singoli piccoli stati per fronteggiare le sfide della globalizzazione.
 Delle due credo ci siano ragioni sufficiente che giustificano la preferenza per la seconda soluzione. Ed è per questo che credo convenga all’Europa “salvare” la Grecia, imponendole un finanziamento con aggiustamento graduale e sostenibile dei propri squilibri.

Pietro Alessandrini - Università Politecnica delle Marche

Nessun commento:

Posta un commento